Perchè salvarlo
Scopri di piùLa vera partita che si gioca al Franchi
Mentre i volterrani riscoprono l’anfiteatro, i fiorentini si accingono a distruggere il loro: lo Stadio Artemio Franchi. Una legge dello Stato (appena approvata come emendamento bipartisan al Decreto Semplificazioni) permetterà alla Fiorentina (o meglio alla sua attuale proprietà) di ristrutturarlo in deroga al Codice dei Beni Culturali e «alle eventuali dichiarazioni di interesse culturale o pubblico già adottate, nel rispetto dei soli specifici elementi strutturali, architettonici o visuali di cui sia strettamente necessaria a fini testimoniali la conservazione o la riproduzione anche in forme e dimensioni diverse da quella originaria».
Il che vuol dire che per lo Stadio di Firenze (e per tutti gli altri impianti sportivi storici d’Italia) gli eventuali vincoli culturali non valgono più, e che se c’è una scala elicoidale, o una tribuna particolarmente ardita, ebbene la si potrà smontare e ricostruire da qualche altra parte, o anche solo riprodurla in scala. È la fine della nozione stessa di monumento: se posso farlo a pezzi, salvandone solo gli organi pregiati, vuol dire che posso uccidere quel corpo, quell’organismo vivo e unitario che chiamiamo monumento. Immaginiamo di salvare solo una torre di Castel del Monte, solo due arcate del Palazzo Ducale di Venezia, qualche pinnacolo del Duomo di Milano o dieci colonne del Pantheon: non sarebbe una morte ancor più umiliante e ingloriosa?
Ma, direte, come si fa a paragonare uno stadio a quei monumenti antichi ed illustri? Nel caso di Firenze, quel paragone è già da tempo consolidato e passato in giudicato: non c’è manuale di storia dell’arte che non dedichi una pagina e qualche fotografia a questo capolavoro di Pier Luigi Nervi.
E il costante aumento delle visite di appassionati di architettura del Novecento, che da ogni parte del mondo si recano in pellegrinaggio al Franchi, ci dice che il volo leggerissimo del cemento armato di Nervi è ancora capace di parlare al nostro cuore. D’altra parte, proprio il documento che certifica il nostro essere italiani – il passaporto – reca, alla pagina 31, la riproduzione della tribuna del Franchi, inserito così ufficialmente in un eletto canone di monumenti che comprende (tra molti altri) tutti quelli che ho citato sopra. Non potrebbe esserci un contrasto più eloquente tra le ragioni della storia, dell’identità e della bellezza e la forza del mercato, del denaro, del potere.
Davvero lasceremo le prime in balìa della seconda? Davvero lasceremo che un monumento che ci rappresenta tutti venga distrutto per l’interesse di pochi? Secondo Nervi il cemento trovò da sé la sua forma: sta a noi decidere se la conserverà.
Tomaso Montanari