Stadio Artemio Franchi, ex Stadio Giovanni Berta

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Lo stadio intitolato alla memoria del martire fascista Giovanni Berta, grazie alla straordinaria fortuna critica e alla presentazione che ne fanno Pier Maria Bardi su «Quadrante» e Giovanni Michelucci su «Architettura», è l’opera che permette a Nervi l’ingresso nel mondo dell’architettura, suggellato dalla partecipazione alla Mostra di architettura razionale a Firenze curata dallo stesso Michelucci con Adalberto Libera nel 1932.

Nervi non era estraneo alle atmosfere del Movimento Italiano per l’Architettura Razionale (MIAR), visto che già alla seconda Esposizione di architettura razionale, del marzo 1931, era stata esposta la palazzina sul lungotevere Arnaldo da Brescia progettata da Gino Capponi e da lui calcolata. Gli stessi oggetti architettonici di cui si compone lo stadio Berta - la pensilina, la torre, le scale elicoidali - denunciano un’attenta conoscenza da parte di Nervi delle riflessioni teoriche e progettuali del Gruppo 7 e degli architetti impegnati nel MIAR. E Nervi, con la sua impresa, è, e come tale viene individuato, colui che è in grado di gestire le nuove tecniche costruttive e gli stessi termini di un linguaggio architettonico, nel passaggio delicato dalle dichiarazioni programmatiche alla sperimentazione concreta: basti pensare alla prima Mostra di architettura razionale del 1928, dove, su 500 progetti esposti, soltanto 5 erano opere realizzate, tra cui lo stabilimento FIAT-Lingotto di Giacomo Mattè Trucco. A sigillo dell’impresa, il manifesto dell’Esposizione propone un singolo pilastro in cemento armato, con le armature scoperte alla sommità, nuovo ordine architettonico universale.

Promosso dal Gruppo rionale fascista e inizialmente assegnato all’Ufficio tecnico comunale, alla fine del 1930 il progetto viene affidato definitivamente all’impresa Nervi & Nebbiosi, che pochi mesi prima aveva fatto una proposta per la realizzazione della tribuna d’onore: una pensilina in cemento armato con uno sbalzo di 22,5 m, appoggiata su 15 mensole portanti a sezione curva e irrigidita da due travi trasversali; una sorta di paradosso statico in cui l’equilibrio, con somma sprezzatura, è raggiunto in virtù dell’azione della trave e del contrappeso delle gradonate. Il progetto è redatto da Nervi tra il 1931 e il 1932 (l’anno in cui scioglie la società con Nebbiosi per fondare la Nervi & Bartoli): l’ideazione delle diverse strutture che compongono l’opera - la tribuna coperta, le gradinate scoperte, le scale elicoidali, la torre di Maratona - viene messa a punto da Nervi man mano che il cantiere avanza. Alcuni disegni inediti per lo stadio e databili intorno al 1930-31 mostrano come Nervi sondi contemporaneamente diverse possibili scelte. Potrebbe trattarsi di un progetto generale presentato all’Ufficio tecnico del Comune nel 1931, tra l’ultimazione dei lavori della tribuna coperta e la costruzione delle due tribune scoperte, più «contenuto», che non prevede gli oggetti eccezionali che Nervi progetterà dopo lo scioglimento dell’impresa con Nebbiosi.

Questi disegni danno conto di un ingegnere alla ricerca di un linguaggio architettonico adeguato: problema rispetto al quale, sino al progetto per lo stadio fiorentino, Nervi non si era misurato. In questa serie di disegni inediti vediamo Nervi indugiare, quasi «flirtare» con tecniche di rappresentazione proprie delle avanguardie figurative (nella suggestiva, e quasi astratta, tavola con le sagome al vero del prospetto principale, dove elemento costruttivo e decorativo coincidono, quasi un trascorrere della decorazione nel sistema statico) e con soluzioni formali accostabili a certe elaborazioni contemporanee di Libera e Mario Ridolfi (negli studi per i piloni di illuminazione). La qualità stessa dei disegni è notevole, non sappiamo molto di chi lavorava in quegli anni per Nervi & Bartoli, ma sicuramente anche la scelta della tecnica di rappresentazione nello squadernarsi delle prospettive a carboncino testimonia dell’esigenza di parlare una lingua riconosciuta.

I due studi per i piloni di illuminazione, che non avranno esito, inaugurano a loro volta un proficuo filone di studi sulle «torri molto elevate e sottili» (lettera di Nervi a Eugenio Miozzi) che porterà nel giro di breve tempo all’elaborazione dei progetti della torre di Maratona, del monumento alla Bandiera, del palazzo dell’Acqua e della Luce. Veri e propri edifici-manifesto che dichiarano come Nervi, affidandosi alla tecnica, sia alla ricerca di un proprio ruolo nel tentativo di traghettare l’architettura fuori dal quel periodo fondativo del razionalismo italiano che Giuseppe Terragni definirà «il periodo squadrista dell’architettura italiana». A differenza del primo progetto, meno costoso e meno avanguardista, nella realizzazione definitiva dello sta dio fiorentino Nervi procede con sicurezza attraverso un processo additivo di episodi plastici. Nelle nuove tribune e nella torre di Maratona fa nuovamente ricorso a paradossi statici; nelle scale, una soletta rastremata, su cui poggiano i gradini, si protende a sbalzo da un travone elicoidale, mentre a riequilibrare gli sforzi interviene un’altra trave intrecciata, simmetrica e inversa, a formare una struttura intelaiata spaziale; la torre, il fuso vetrato alto 55 m che incorpora un ascensore a vista, è appoggiata su una soletta a sbalzo.

Ne risulta una sorta di catalogo di oggetti unici, veri e propri pezzi di bravura che l’ingegner Nervi consegna all’architettura, dove le soluzioni plastiche sono ordinate, controllate, organizzate e rese funzionali, quasi a illustrare le parole del primo articolo del Gruppo 7: «la nuova architettura, la vera architettura, deve risultare da una stretta aderenza alla logica, alla razionalità. Un rigido costruttivismo deve dettare le regole. Le nuove forme dell’architettura dovranno ricevere valore estetico dal solo carattere di necessità, e solo in seguito, per via di selezione, nascerà lo stile»1. Nel giugno 1931, mentre si disarma la pensilina dello stadio, Nervi pubblica «Scienza o arte dell’ingegnere?»2, ma si tratta di uno dei suoi ultimi scritti su riviste di ingegneria. Lanciato nell’agone architettonico inaugura una fitta serie di scritti pubblicati su «Casabella» e «Quadrante». Con i suoi articoli su «Casabella» interviene nel vivo di un acceso dibattito. Ce n’è per tutti, da Piacentini («alcune manifestazioni di ieri hanno dimostrato che, fondamentalmente, alcune idee non sono abbastanza chiare. Elementi formali quali l’arco, la piattabanda, il pilastro o la colonna, sembrano acquistare un’importanza che non hanno e non possono avere»), ai razionalisti («altro pericoloso equivoco è nell’aggettivo “razionale” con cui si sono da molti, definite le nuove tendenze architettoniche. Un’arte non può mai essere razionale 3»). Da qui Nervi si concentra sulla definizione della figura dell’architetto e del costruttore, primo tra tutti la «necessità di ridare all’architetto non solo il suo nome, ma la funzione derivante dal suo stesso nome di “capo costruttore”, ossia unico responsabile dell’opera dal suo sorgere in idea, al suo vivere in concreta e viva realtà»4, concludendo come «(...) a un serio esame sparisca il punto dove l’ingegneria diventa architettura o questa ingegneria5», in quanto «l’operazione di progettazione diventa un dialogo tra l’idea architettonica e le necessità della tecnica»6.

Nervi si chiama così fuori dalle polemiche che infuriano intorno al tema «Architettura arte di Stato», spostando il problema: al centro pone la téchne, che annulla la differenza tra ingegnere e architetto, perché la progettazione, la res aedificatoria, è operazione di conoscenza, dove verba e res coincidono, e l’architetto è albertianamente inteso come «colui che conosce le cagioni». E Nervi lo dimostra con gli edifici progettati: lo Stadio Berta a questo punto può essere letto come un edificio-monumento dove l’intento è quello di stupire, ma anche edificio-manifesto continuamente commentato dalla fitta serie di scritti che pubblica tra 1933-34 su «Casabella» e «Quadrante», riviste di architettura, e dimostrazione costruita dell’alleanza tra téchne e eidos.

Roberta Martinis


1. Gruppo 7, Architettura, in «Rassegna italiana», dicembre 1926
2. P.L. Nervi, Scienza o arte del’ingegnere?, in «L’ingegnere», n. 7, 1931, pp. 3-4
3. P.L. Nervi, Problemi dell’architetto, in «Casabella», n. 5, maggio 1933, p. 34
4. P.L. Nervi, Arte e tecnica del costruire, in «Quadrante», n. 2, giugno 1933; Pensieri sull’ingegneria, in «Quadrante», n. 6, ottobre 1933, p. 20; Considerazioni tecniche e costruttive sulle gradinate e pensiline per stadi, in «Casa-bella», n. 12, dicembre 1933, pp. 10-13; Problemi della realizzazione architettonica, in «Casabella», n. 74, febbraio 1934, pp. 2-3
5. P.L. Nervi, Pensieri sull’ingegneria, in «Quadrante», n. 6, ottobre 1933, p. 20.
6. P.L. Nervi, Problemi della realizzazione architettonica, in «Casabella», n. 74, febbraio 1934, pp. 2-3.